Economia e lavoro - 09 novembre 2020, 14:20

Artigiani piemontesi: "Ok il sistema dei ristori, ma bisogna superare il meccanismo dei codici Ateco"

Felici (Confartigianato Piemonte): “E' un procedimento che ha dimostrato di escludere intere categorie colpite tanto quanto, se non in misura maggiore, di quelle coinvolte”

Ristori e ristori bis. Sono queste le nuove parole d'ordine con cui si trovano ad avere a che fare le imprese che a causa delle più recenti restrizioni contenute nei dpcm del Governo sono chiamate a interrompere (in tutto o in parte) la loro attività per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19. Ma se da un lato le associazioni di categoria sembrano promuovere il meccanismo, dall'altro rimangono punti interrogativi imponenti sugli effetti e sulle possibili storture.

Proprio il pensiero di Confartigianato Piemonte, che in particolare fa riferimento al meccanismo dei codici Ateco: quelli che già durante la prima ondata avevano sentenziato "sommersi e salvati" tra le categorie, ma finendo per differenziare situazioni in realtà anche molto simili tra di loro. “Ancora una volta non possiamo dire “buona la prima”. E’ stato necessario, infatti, stanziare altre risorse con il Decreto Ristori bis per andare in aiuto alle realtà che non possono lavorare e che con il Decreto Ristori non avrebbero ricevuto un euro dallo Stato. Per tutte queste attività e professioni è fondamentale avere la certezza di ristori adeguati, concreti e veloci”, commenta Giorgio Felici, che di Confartigianato Piemonte è il presidente.

Dal primo Decreto sono rimaste fuori categorie come i Bus Operator e i Fotografi, solo per fare degli esempi, "ma anche tutti quei mestieri artigiani che ruotano intorno alla produzione e servizi per la ristorazione e somministrazione, dalle pizzerie a taglio alle gastronomie, passando per rosticcerie e piadinerie, non ammesse ai contributi nonostante i vistosi e prolungati cali di fatturato, e quelle che gravitano nel turismo, negli eventi, nei convegni e nei congressi, di fatto senza mercato da 7/8 mesi. Senza dimenticare le imprese appartenenti alle filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura, per le quali la Confederazione ha chiesto di includere le imprese agroalimentari artigiane di prima trasformazione di prodotti agricoli (lavorazione carni e trasformazione dei prodotti caseari) che subiscono gravi danni economici a causa delle restrizioni imposte al settore della ristorazione", dicono dall'asociazione di categoria.

Nel lockdown di marzo il codice Ateco dei fotografi non compariva tra quelli delle attività obbligate alla chiusura perché molti laboratori fotografici sono stati parificati agli ottici e, pertanto, considerate attività essenziali. In tale periodo, però, fra cerimonie annullate, matrimoni rinviati e divieti negli spostamenti se non per motivi di lavoro, di salute o per procurarsi beni di prima necessità, recarsi dai fotografi era improbabile e impossibile. Quindi senza obbligo di chiusura, i fotografi si sono trovati a poter tenere aperti i negozi ma a non avere, o raramente, clienti. E, proprio per il fatto che i loro codici Ateco non fossero contemplati dai DPCM, ha fatto sì che l’intero settore fosse escluso a priori dal Decreto Ristori.

“Una situazione paradossale che si è ripetuta nuovamente, in questa seconda ondata di contagi e che rischia di aggravarsi – sottolinea Felici -. La quasi totalità delle cerimonie e dei matrimoni sono stati nuovamente annullati o rimandati, o nella migliore delle ipotesi celebrati con un ridimensionamento tale tra ospiti e organizzazione che ha comunque portato ad una riduzione degli incarichi e dei guadagni da parte dei fotografi.”

“Già a maggio avevamo chiesto che fossero previste misure specifiche e concrete di aiuto per la categoria – afferma Felici -. Ora, a fronte del Decreto Ristori e il nuovo DPCM del 3 novembre, ci siamo trovati di nuovo a chiedere l’inserimento delle aziende di fotografia e comunicazione tra i beneficiari delle misure di sostegno economico previste per altri settori. Con il Decreto Ristori bis si sta andando nella direzione giusta ma vogliamo verificare insieme al Governo l’elenco dei codici Ateco delle attività che prenderanno gli indennizzi per evitare che ci siano, nuovamente, settori esclusi”.

“Per questo - è la conclusione di Felici - occorre uscire dalla logica dei codici Ateco, sistema che ha dimostrato nei fatti di escludere intere categorie colpite tanto quanto, se non in misura maggiore, di quelle coinvolte. Insomma occorre ragionare non per codici Ateco ma con una logica di filiera. Il Governo deve pensare a provvedimenti che seguano la logica di aiutare coloro che possono dimostrare un calo del fatturato di una certa percentuale a prescindere dalla attività che viene svolta – riprende Felici – è infatti chiaro che la riduzione della socialità indotta dalle chiusure di certe attività come bar, locali, ristoranti e il divieto di tenere cerimonie e feste incidono sui bilanci di tutti”.

“Occorre dimostrare con chiarezza agli imprenditori che i loro sacrifici vengono ripagati con ristori immediati e proporzionati al danno - conclude Felici -. Le parole d’ordine devono essere velocità e ‘zero burocrazia’. Insomma, gli imprenditori devono poter contare su risorse certe, erogate in tempi rapidi”.

M.Sci