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Economia e lavoro | 24 gennaio 2021, 07:45

Il Covid mette in ginocchio la filiera della moda: il 50% delle imprese in cassa integrazione. E una su tre pensa alla chiusura

Il calo del fatturato medio nel settore (tessile, abbigliamento, pelle) è del 60%. E la produzione è dimezzata. De Santis (Confartigianato Torino): “Serve un piano ampio di interventi che restituisca slancio al comparto"

industria tessile generica rotoli tessuto

Atelier chiusi a singhiozzo, cucitrici che vanno a rilento, sfilate virtuali, cerimonie rimandate, mercati, nazionali e internazionali, sospesi, e di conseguenza, fatturati più che dimezzati.

Le 1.621 imprese artigiane del comparto moda del Piemonte (tessile, abbigliamento, pelle), con 5.579 addetti (a Torino sono 627 con 1.753 addetti), risultano tra quelle che subiscono il peggior impatto negativo dall’emergenza sanitaria: sono state le prime a dover chiudere le saracinesche nel primo lockdown, hanno registrato l’azzeramento del fatturato per la scorsa stagione primavera estate e dopo la riapertura hanno dovuto affrontare mille problemi, tra cui l’importante crisi di liquidità e la gestione della sicurezza aziendale per poi dover affrontare un nuovo stop con il secondo lockdown e con le aperture a singhiozzo.

Il 50% ha messo in cassa integrazione i dipendenti e un terzo pensa di chiudere la propria attività a fronte di un calo di fatturato del 60%.

Una forza, quella dell’artigianato italiano della moda, costituita da 35.914 piccole imprese, il 63,5% delle 55.491 realtà del settore, e che occupa più di 158mila addetti artigiani su oltre 311mila.

Le imprese artigiane del settore moda sono prevalentemente a conduzione familiare e sono a rischio di chiusura definitiva: una intera filiera artigianale della moda può essere spazzata via.

Uno studio di Confartigianato Torino ha evidenziato che all’inizio della pandemia le imprese di moda hanno registrato un calo del 60% del fatturato, più importante rispetto al calo della produzione. Ne consegue che in molti settori le imprese “hanno lavorato per il magazzino”, incrementando le scorte. Di conseguenza, al momento della riapertura e della ripresa della domanda, i livelli di produzione non sono saliti, dato che le imprese hanno dovuto soddisfare le richieste iniziali di prodotto smaltendo le scorte accumulate in magazzino. Sempre secondo questa rilevazione, emerge una produzione più che dimezzata per cuoio, borse, pelletteria e selleria, pellicce (-52,5%) confezione di articoli di abbigliamento (-55,1%), gioielleria, lavorazione delle pietre preziose (-57,4%), calzature (-59,0%).

Dal monitoraggio che Confartigianato Torino ha effettuato durante i mesi del primo e del secondo lockdown verso le imprese della moda del territorio emerge come siano tanti gli imprenditori che hanno usato il tempo per studiare, aggiornarsi, scambiarsi idee, usando le “comunità di settore”, ma anche progettare e implementare l’attività delle vendite on line e tenere il contatto con la propria clientela attraverso i webinar.

“Tanti di noi si sono anche 'reiventati' per sopravvivere per affrontare i mancati incassi, producendo mascherine e camici – sottolinea Daniela Dallosta, Rappresentante moda di Confartigianato Torino - ma la verità che è che tutte le realtà hanno nei magazzini intere collezioni invendute che non riescono a smaltire e di conseguenza la produzione si è dimezzata per quasi tutti i settori della moda”.

Secondo Confartigianato Torino, è in questo contesto, così difficile, che le imprese stanno cercando di continuare a lavorare, anche se non sempre riescono a garantire i posti di lavoro e gli stipendi ai dipendenti.

“In questo scenario di profonda crisi per il comparto – continua Dallosta - si aggiunge anche il continuo stop and go delle aperture, i cambi di colore della nostra regione, l’impossibilità di spostarsi tra comuni diversi, l’azzeramento di eventi e matrimoni, l’utilizzo dello smart working, tutti questi fattori hanno modificato e rallentato la domanda relativa al fashion”.

Per non far morire un’intera filiera serve un piano ampio di interventi che restituiscano slancio al comparto manifatturiero simbolo del made in Italy  - commenta Dino De Santis, Presidente di Confartigianato Torino - Ricordiamoci, però, che il fattore tempo, per un’impresa che sta annegando, è l’elemento determinante per la sua sopravvivenza”.

I numeri parlano chiaro: i mancati ricavi delle imprese della moda tra gennaio e ottobre sono pari a 15,5 miliardi di euro, di cui 10 miliardi di minori esportazioni. In pratica, 1 miliardo in meno al mese di made in Italy della moda venduto nel mondo.

“Auspico che i ristori previsti dal Governo siano realmente adeguati a compensare le perdite subite dalle imprese - conclude De Santis - sia dal punto di vista della quantità delle risorse messe in campo, sia nel tenere conto di tutte le attività collegate a quelle soggette a chiusura. Le nostre imprese, per poter andare avanti. hanno bisogno di certezze e di chiarezza”.

redazione

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