Certo, al giorno d’oggi, complici i mille aspetti burocratici e un fisco italiano non propriamente “amico”, avviare un’attività in proprio nel nostro paese è talvolta un azzardo quanto mai avventato.
Eppure, nonostante ciò, più d’un nostro connazionale decide di mettersi in proprio e compie il primo passo indispensabile in queste circostanze: aprire una partita IVA. Il nostro paese, come noto, non spicca per disporre di una burocrazia agile e snella. E come vedremo nel prosieguo dell’articolo, le differenze presenti tra il nostro paese e il resto del mondo sono, in taluni casi, piuttosto evidenti.
Aprire una partita IVA in Italia: burocrazia e fiscalità
A differenza di qualche lustro fa, l’apertura di una partita IVA è diventata certamente più veloce: può essere fatta online o recandosi all’Agenzia delle Entrate con immediata assegnazione del numero identificativo. Questo, tuttavia, è l’unico aspetto veramente “easy” dell’apertura di una partita IVA nel nostro paese. Da questo momento in poi, infatti, il titolare della P.IVA deve compiere scelte tutt’altro che semplici.
Ad esempio, deve scegliere il codice ATECO che identifica la propria attività, decidere se optare per il regime forfettario od ordinario, e iscriversi eventualmente alla Gestione Separata o a una cassa previdenziale specifica. Ma il vero salasso è, senza alcun dubbio, la tassazione: un professionista in regime ordinario può potenzialmente pagare oltre il 40% tra IRPEF, addizionali e contributi previdenziali. Gli adempimenti burocratici, poi, impongono l’ausilio di un professionista e, di conseguenza, ulteriori costi aggiuntivi.
Il caso di Dubai agli antipodi rispetto all’Italia
Volgendo lo sguardo all’estero, invece, si nota come esistano nazioni con un fisco decisamente più “friendly” per chi vuole “fare impresa”. E’ il caso, ad esempio, di Dubai, nazione emiratina balzata agli onori delle cronache negli ultimi anni per aver fatto registrare un forte sviluppo economico grazie alla capacità di attrarre investimenti da ogni angolo del mondo.
Dubai risulta particolarmente attrattiva per l’assenza di imposte sul reddito per le persone fisiche e una tassazione societaria estremamente bassa (9% per alcune attività, ma solo al raggiungimento di determinate soglie di profitto); inoltre, esistono alcune Freezone dove è possibile acquisire la proprietà al 100% di un’azienda senza la necessità di un socio locale.
Aprire partita IVA a Dubai, però, richiede l’ausilio di un professionista che conosca perfettamente gli aspetti fiscali, amministrativi e normativi dello stato emiratino. Ed è per questo motivo che è quanto mai opportuno rivolgersi a esperti che operano direttamente sul territorio con una struttura legalmente riconosciuta, evitando di cadere nel tranello di improvvisati influencer che prospettano mirabolanti guadagni negli Emirati Arabi.
Differenze sostanziali tra aprire una partita IVA in Italia o all’estero
Dubai è certamente la meta prediletta per chi vuole godere di alcuni benefici, ma anche il Regno Unito, pur non godendo di un regime fiscale così vantaggioso come quello dello stato emiratino, offre condizioni decisamente migliori rispetto al nostro paese. A Londra, ad esempio, è richiesta l’apertura della partita IVA solo al superamento di una soglia annuale (attualmente 85000 sterline); al di sotto, è possibile operare solo come “trader”, con obblighi fiscali e normativi decisamente più accomodanti.
Al tirar delle somme, si può affermare che, nella maggior parte dei casi, aprire una partita IVA all’estero risulta certamente più conveniente dal punto di vista fiscale e, come nel summenzionato caso di Dubai, agevolata anche da incentivi statali per attrarre capitali dall’estero. Inoltre, il nostro paese presenta una macchina burocratica che, non di rado, risulta un forte ostacolo ad attrarre capitali esteri e incentivare i giovani a “fare impresa”.
Informazioni fornite in modo indipendente da un nostro partner nell’ambito di un accordo commerciale tra le parti. Contenuti riservati a un pubblico maggiorenne.