(Adnkronos) - È partita dall’Italia l’allerta rossa per la sicurezza nucleare dopo l’attacco alla centrale di Chernobyl, dove il “sarcofago” d’acciaio che contiene le scorie ad alta radioattività dell’incidente del 1986 - come confermato ora anche dall'Aiea - è stato colpito da un drone russo di fabbricazione iraniana.
Un programma di cooperazione tra il Servizio statale per la gestione delle operazioni straordinarie (DSNS), distretto della regione di Kiev, e il Capri Campus — realizzato con la collaborazione e il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici e di alcune università — aveva avviato da tempo il monitoraggio del sito di Chernobyl e la formazione “forense” degli specialisti impegnati nella centrale nucleare.
Settanta esperti in sicurezza nucleare, provenienti dai vigili del fuoco ucraini, sono stati coinvolti nel programma. Tre ufficiali, guidati dal Volodimir Sokol, colonnello del servizio emergenze di sicurezza nazionale regione di Kiev, sono stati formati in Italia presso il Capri Campus, dove è stato anche donato un drone all’unità dei pompieri responsabile del supporto aereo alle operazioni. Proprio grazie a questo drone, pilotato da uno degli operatori addestrati in Italia, è stato possibile documentare immediatamente l’attacco russo al deposito di scorie e valutarne i danni lo scorso febbraio. Ora, a dieci mesi dall’allarme italiano, l’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, che solo di recente ha potuto compiere un proprio sopralluogo, ha confermato ufficialmente l’attacco russo e i gravi danni al sarcofago, invitando la comunità internazionale ad adottare interventi urgenti.
Il Capri Campus, insieme al Console Generale d’Ucraina a Napoli, Maksim Kovalenko, ha prontamente lanciato l’allarme organizzando un workshop per illustrare i rischi derivanti dai 14 giorni di incendio del grande deposito, già gravemente danneggiato. "Nel corso dell’incontro - spiegano dal Capri Campus - sono stati presentati anche i droni italiani a decollo verticale e volo orizzontale, sperimentati appositamente per emergenze di questo tipo: il Capri Falcon, con apertura alare di 3,30 metri, progettato per monitorare l’intera zona di esclusione di Chernobyl, e altri modelli più compatti per operazioni mirate. Sono stati inoltre testati sensori laser speciali per fumi e atmosfere polverose radioattive e, nei mesi di giugno, luglio e agosto, sono stati effettuati lanci di razzi sonda nell’atmosfera, anche con carichi speciali e ad alta quota, per valutare il potenziale rischio di contaminazione globale".
La Guardian Aerospace americana, nell’ambito del programma a supporto dell’Ucraina, ha testato i lanciatori “Lond Lancers”, capaci di trasportare carichi eccezionali per simulare incidenti radiologici maggiori e relative risposte rapide. Tutte le attività sono state coordinate dall’Italia attraverso il Consolato Generale a Napoli e il Campus caprese, con operazioni spaziali effettuate dal deserto di Black Rock negli Stati Uniti, operazioni aeree a Chernobyl e nel distretto di Kiev, e training nella stazione dei pompieri nel cuore della zona contaminata.
“Il deposito ha bruciato per due settimane e da mesi è presente una falla: il pericolo e l’esposizione esistono, anche se gli effetti non sono stati finora registrati - afferma il responsabile del programma internazionale presso il DSNS ucraino, il consulente Mario Scaramella - Questo crimine ambientale, di portata internazionale, perpetrato dalla Russia, ci ha lasciati attoniti. Lo abbiamo documentato affinché si possa procedere a contestazioni formali davanti alla Corte di Giustizia dell’Aja e alle giurisdizioni dei Paesi interessati. Anche la procura federale di Mosca dovrebbe intervenire contro chi ha ordinato di colpire una sorgente radioattiva. Si è creato un rischio ambientale che, secondo i nostri studi, può essere persino superiore a quello derivante dall’esplosione di un ordigno nucleare tattico: sono scenari estremi che la comunità internazionale sta ignorando".
"I pompieri di Chernobyl chiedono un supporto minimo: tute da lavoro, furgoni, pompe di sollevamento. Nessuno ha risposto ai nostri appelli - aggiunge Scaramella - La Aiea ha impiegato dieci mesi per confermare ciò che noi abbiamo mostrato al mondo in tempo reale grazie ai nostri droni. Senza il nostro programma l’attacco non sarebbe stato documentato in modo forense e probatorio. Ora, oltre a un processo, serve una reazione immediata: aiuti materiali al DSNS. Ci rivolgiamo ai comandi delle protezioni civili di tutti i Paesi europei: forniteci mezzi che per voi sono in disuso, ma per noi indispensabili per affrontare un’emergenza immensa e terribile. I colloqui di pace dovrebbero partire da questo episodio: mai più colpire obiettivi che costituiscono un pericolo per l’intero pianeta. Questo è l’appello a tutti i Paesi coinvolti”, conclude Scaramella.














